La salute mentale in Italia gode di…buona salute? Un’analisi sconfortante, con qualche buona notizia.

Cos’è la salute

Conosciamo tutti il vecchio adagio: se c’è la salute, c’è tutto. Una perla di saggezza popolare che resiste ancora ai giorni nostri. Quando parliamo di salute, siamo sicuri di avere tutti in mente lo stesso concetto?

La comunità scientifica si trova d’accordo nel definire la salute come uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, e non come la semplice assenza di malattia o infermità. Troviamo queste parole nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), istituita nel 1948 a Ginevra. All’interno delle Nazioni Unite, è proprio l’OMS a indirizzare e coordinare i Paesi in materia di salute.

In questa definizione vengono considerate dunque tre dimensioni: fisica, mentale e sociale, con particolare riferimento alla teoria biopicosociale. Cosa significa? Una variazione, sia essa positiva o negativa, in una di queste dimensioni porta un cambiamento complessivo che interessa anche le altre due dimensioni. Proviamo a pensare alla vita di tutti i giorni: se stiamo gestendo una difficoltà sul lavoro (dimensione sociale), ne risentiranno sia il nostro corpo (cefalea, spossatezza, ecc.) sia la nostra mente (ansia, disturbi dell’umore, ecc.). Possiamo facilmente osservare tutti noi quanto le dimensioni fisica, mentale e sociale siano tra loro interdipendenti e correlate. Quindi – mi preme sottolinearlo – la salute mentale è parte integrante del concetto di salute, così come definito dall’OMS.

Il lascito della pandemia

A proposito di teoria biopsicosociale, proprio l’OMS è molto presente nella memoria di tutti noi per aver gestito nel mondo la pandemia di Covid-19. La pandemia ha sicuramente rappresentato un’emergenza dal punto di vista medico-sanitario, ma non solo per gli effetti del virus sul corpo umano, ma anche per le ricadute che le misure di contenimento del virus hanno avuto sui rapporti sociali e per l’impatto della pandemia sulla salute mentale della popolazione.

Trattandosi di un evento temporalmente molto vicino a noi, non è ancora possibile stabilire e percepire davvero come e quanto la pandemia abbia realmente inciso significativamente nelle nostre vite, sicuramente in modo diverso per ciascuno. Esistono tuttavia già diverse ricerche che evidenziano le conseguenze della pandemia nella popolazione generale in termini di salute mentale. Già nel 2022, sempre l’OMS ha rilevato che dopo un anno di Covid-19 la prevalenza di ansia e depressione in tutto il mondo è aumentata del 25%. Il fattore citato come principale detonatore dell’impennata di crescente malessere psicologico globale è lo stress legato al prolungato e ripetuto isolamento sociale: una situazione unica nella storia umana, accompagnata dai limiti negli spostamenti e nello svolgimento delle principali attività. Limiti necessari, fondamentali, che hanno salvato molte vite, ma che non ci hanno lasciato indenni. Tra i più colpiti, secondo l’OMS, le donne, i giovani e le persone “fragili”, con problematiche fisiche pre-esistenti.

La situazione in Italia

Trattare in maniera estesa la relazione fra Covid-19 e salute mentale non è lo scopo di questo articolo. Anche se è evidente che la pandemia ha segnato un periodo straordinario, drammatico ed eclatante, possiamo ipotizzare che non sia l’origine di tutti i mali, ma che piuttosto abbia contribuito a peggiorare una situazione pregressa già critica.

Come denunciava il Sole24Ore a ottobre 2023, l’Italia si colloca fra gli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale: infatti soltanto appena il 3,4% della spesa sanitaria complessiva è destinata a questo scopo, mentre i principali Paesi ad alto reddito ne dedicano più del 10%. L’ammanco che il Sistema Sanitario Nazionale dovrebbe destinare per un’adeguata assistenza a chi soffre di disturbi mentali e – aspetto fondamentale – alle loro famiglie è stimato intorno a 1,9 miliardi, che servirebbero a colmare questo gap. Sarebbe inoltre necessario aumentare del 47% il personale sanitario per sopperire alle attuali lacune. Qualche mese prima, il Consiglio Nazionale degli Ordini degli Psicologi (Cnop) riportava una considerazione tanto significativa quanto preoccupante: in Italia lavorano 5mila psicologi pubblici per 60 milioni di abitanti, lo stesso numero di 40 anni fa. In questo quindi la pandemia c’entra poco; piuttosto, questo dato sconfortante deriva da scelte poco lungimiranti spalmate in decenni. L’incidenza di problematiche psicologiche nelle fasce medio-basse di reddito, ossia quelle che presumibilmente non possono accedere a uno psicologo privato, è maggiore del 30%, quindi viene da chiedersi come la sanità pubblica possa gestire un numero di richieste tanto elevato che si prevede in aumento nei prossimi anni.

Alcune buone notizie

All’interno di questo panorama disarmante, possiamo tuttavia puntellare alcune note positive. Per necessità di sintesi, elenchiamo alcune opportunità di accesso alle cure di salute mentale:

1) trattandosi di prestazioni sanitarie a tutti gli effetti, le spese sostenute per servizi psicologici e di psicoterapia beneficiano delle detrazioni fiscali al 19%. L’unica condizione è che il pagamento avvenga con mezzo tracciabile (come bonifico o POS);

2) lo Stato eroga un contributo per le spese relative a sedute di psicoterapia, denominato “Bonus psicologo”. I requisiti: la residenza in Italia e un valore ISEE inferiore a 50.000 euro.

3) alcune associazioni di categoria offrono ai loro soci, tramite apposite convenzioni stipulate coi professionisti, prestazioni di tipo specialistico (fra cui la psicoterapia) a prezzo ridotto;

4) molte realtà che operano nel sociale, per specifiche iniziative o progetti finanziati da enti terzi, offrono colloqui a quote calmierate o addirittura a titolo gratuito. Quindi tendenzialmente il professionista non è pagato dall’utenza ma da associazioni, fondazioni o simili.

Questo elenco non è sicuramente completo ed esaustivo rispetto alle varie opportunità presenti sul territorio, quindi è consigliabile rivolgersi agli enti locali o a chi di competenza per essere meglio indirizzati, a seconda delle proprie necessità.

Per concludere, la salute mentale ha un costo, ma chiediamoci se la scarsa o assente tutela delle fragilità psicologiche è un prezzo che, come comunità, siamo disposti a pagare.